mercoledì 30 marzo 2011

Paolo Poli un uomo del mio tempo

Intervista a Paolo Poli di Antonio Gnoli per "la Repubblica"
PAOLO POLI NE IL MARE
Che dire di Paolo Poli, 81 anni portati con grande disinvoltura? Se scherzi e gli fai un complimento un po´ da signora non si offende, anzi finge di guardarti con occhi che sbattono civettuoli. La vocetta frivola condensa anni di gesti teatrali all´insegna della più totale libertà di pensiero. E improvvisamente immagini che nella sua testa scorrano le canzonette e le canzonacce, i monologhi e duetti, le mammine e i profumi, i balocchi e le mossette, le parrucche e le scarpine, il militare e il frac, lo chiffon e la marcetta. Teatro di una vita.
Se fossimo nel repertorio delle favole, Poli sarebbe insieme Biancaneve e la strega, il lupo e Cappuccetto Rosso, l´orco e Pollicino. Adora, del resto, le narrazioni per l´infanzia. Come gli opposti che si tengono con una tensione che vocalmente lo fa essere insieme baritono e soprano. Un po´ uomo e un po´ donna. La sua chiave è l´ambiguità.
PAOLO POLI NE IL MARE
Ho visto il suo ultimo spettacolo: 'Il mare', tratto dai racconti di Anna Maria Ortese: sulla scena per due ore Poli e quattro finte girls, perfette nel ruolo equivoco di accompagnatori en travesti. E lui, una vera lady che allarga le braccia e poi le stringe al petto e piega il volto e sorride sotto la maestosa parrucca fucsia e il filo di trucco, un composto a metà strada tra le mosse di una drag queen e Colazione da Tiffany. Lo incontro nel camerino dell´Eliseo. Ambiente spento, ma lui, Paolo Poli, in grado di irradiarlo di luce e di intelligenza.
PAOLO POLI
Si riconosce con chi la definisce l´attore più brillante che abbiamo?
«Oscar Wilde diceva che il peccato più grave in teatro è la noia. Ai suoi tempi con le unghie strappavano il velluto dalle seggioline. In seguito hanno cominciato a tirare ortaggi, uova e perfino gatti morti».
L'hanno mai bersagliata?
«Solo in un´occasione: recitavo in un teatrino non lontano da Parma. Vennero dei fascisti a tirarmi le uova. Ma le scansai tutte. Facevamo una presa in giro di un personaggio tipo Farinacci. Cosa vuole, c´era ancora gente che aveva nostalgia del manganello».
PAOLO POLI
E poi più niente?
«Un´altra volta ho avuto delle noie. Mi ero travestito da suora e facevo Santa Rita, ero bravissima. Come un´ingenua bambinetta con le treccine scendevo tra il pubblico, sedendomi sulle ginocchia di qualche omaccione, e dicevo: "scusate le spalle, ma qui sento del duro!". Il pubblico rideva. Dopo l´interruzione dello spettacolo, giudicato blasfemo, chiusero il teatro e fecero perfino un´interpellanza parlamentare».
Quando è nato il suo rapporto con il teatro?
«Da piccino. Come carabiniere, mio padre aveva diritto all´ingresso libero e mi nascondeva sotto il mantello per farmi entrare. La prima cosa che vidi fu Vestire gli ignudi di Pirandello, con Paola Borboni nella parte della signorina Ersilia. Mi sembrava brutta, piccola, grassoccia e non capivo perché sulla scena le gridavano: "No, no, non si uccida! Così bella, così giovane". Col tempo ne ho apprezzato il genio».
PAOLO POLI
Un'altra attrice all´altezza?
«Franca Valeri, straordinaria ancora oggi. Quando la senti recitare dopo un po´ ti dimentichi del singhiozzo e vedi la poesia».
Quando ha iniziato a recitare?
«Seriamente nei primissimi anni Sessanta. Il periodo in cui morivano le compagnie capocomicali e nascevano i teatri stabili con molto Shakespeare e Brecht».
Però ha scelto un altro genere di teatro.
«Per forza. Nessuno avrebbe impegnato soldi su di me. Ero troppo effeminato. Era un periodo in cui bisognava essere virili. Marlon Brando, che poveretto aveva una voce come Donald Duck, veniva doppiato con timbro stentoreo. Era invece un omino piccolo».

Lo ha conosciuto?
«In casa di Zeffirelli che lo aveva chiamato per fare Ulisse in un´Odissea. Comunque la faccenda non andò in porto, servivano troppi soldi. Un giorno si fece una visita alla Cappella Sistina. Brando rimase estasiato: per la prima volta aveva visto le mille maniere che gli uomini più belli del mondo hanno di arrampicarsi sui soffitti».
E' difficile immaginarlo con la testa in su e la bocca aperta.
«Era carino, mascella volitiva e un repertorio di gesti appresi alla scuola di Strasberg. Se lo chiamavi, lentamente alzava lo sguardo e ti fissava tra il macho e il languido. Un po´ come Greta Garbo. Solo che la Garbo aveva inventato il linguaggio del corpo nel cinema: la palpebra che si abbassa e vela il pensiero, la mano che tira indietro i capelli: sembrava una statua di Brancusi».
Citazione raffinata. Di lei si dice che sia una persona molto colta.
«Ma che colta. Ho fatto studi regolari, ma con grande fatica. In casa eravamo sei fratelli, mio padre è morto nel 1945. Sicché si stentava. Ho impiegato dieci anni a laurearmi, in letteratura francese. Mi sarebbe piaciuto occuparmi di storia dell´arte».
PAOLO POLI
So che ha conosciuto Roberto Longhi.
«Era il mio professore. Feci un paio di esami con lui. Poi si divenne amici. Veniva a Roma da Firenze e si annoiava mortalmente in casa della Bellonci, dove era andato a stare provvisoriamente. Per cui certi pomeriggi si rifugiava in teatro alle mie prove. Un uomo intelligentissimo, spiritoso, giocatore incallito. Tornò una volta dall´America e durante un racconto conviviale, mi guardò puntandomi l´indice: "Poli, laggiù mi hanno chiesto se Caravaggio era finocchio, che risponde?". Professore, io non c´ero. E giù tutti a ridere. Che uomo straordinario e che scrittore meraviglioso».
Lei ha molto costeggiato la letteratura per il teatro.
«Cosa vuole, mi sono attaccato alle palle di gente più grande di me: ultimamente a Parise, e alla Ortese. Scrivere direttamente per il teatro è molto più difficile. L´ultimo grande drammaturgo è stato Pirandello. Meglio la letteratura, quando c´è una scrittura tersa e raffinata».
PAOLO POLI
Chi le piace tra gli scrittori?
«Ho adorato Moravia. Scriveva benissimo e aveva un carattere amorevole. Negli ultimi anni mi telefonava spesso, si sentiva un po´ solo in casa, e si annoiava. Capitava che andassi a trovarlo la sera. E, certe volte, dalla finestra di casa si guardavano le troie che battevano sul Lungotevere: "Paolo, è meglio il sesso a pagamento o quello libero?", libero, rispondevo. E lui: "Tu menti sapendo di mentire", e giù risate. Sa, erano gli ultimi cascami del futurismo. Come quando Petrolini diceva: "Sono entrato in un cantiere, ma nessuno cantava". Poi, prima di mezzanotte Alberto andava a letto. Se no, diceva, non avrebbe preso più sonno. La mattina alle otto cominciava a scrivere. Fino a mezzogiorno. Aveva educato corpo e mente a ritmi prestabiliti».
Funziona?
«Da vecchi credo di sì. Milly per essere vitale e in forma la sera, dormiva interi pomeriggi. Bisogna educarsi ad alcuni automatismi».
Tra questi mi colpisce la sua memoria. Lei tiene in piedi quasi da solo uno spettacolo per due ore, ricordando ogni battuta.
«Allenamento. Basta che io passi un pomeriggio di riposo e non ricordo più nulla. E poi come fare a ricordare tutte le malinconie di una vita battagliata? Perché la mia è stata una piccola esistenza con tanti problemi».
PAOLO POLI
Allude all'omosessualità?
«No, alludo ai mille problemi che hai in teatro. Quanto all´omosessualità, per me è sempre stata un fatto naturale. Ho avuto la fortuna di avere genitori mentalmente molto liberi e spiritosi. Mio padre per sottolineare una certa effeminatezza, mi diceva: "Vieni qui, suor Camilla, hai saltato la bajonetta?", no, papà, avevo tanta paura. "Allora ti farò esonerare dalla ginnastica". C´era ancora il fascismo. Il babbo detestava quegli slanci virili. E in seguito ho avuto la fortuna di fare un mestiere in cui Arlecchino si confessa burlando».
Una tipologia molto diversa dalla sua, enormemente più complicata, l´ha offerta Pasolini.
«Eravamo molto differenti. A lui garbavano i ragazzi di vita, i "ninetti davoli" con i brufoli e l´accento romanesco. Certamente aveva molta più personalità di me. Ricordo certe sere a cena dalla Laura Betti. Lui e Moravia che parlavano, parlavano e noi zitti, come soggiogati da tanta luce. A volte la Betti provava a intervenire, ma l´azzittivano subito».
Che impressione le faceva Pasolini?
«Un intellettuale acuto e una persona generosa, ma con degli scatti d´ira improvvisi. A me ricordava certa gente di Napoli: ti rubano la valigia, ma a volte ti danno il cuore».
Cosa ha pensato della sua morte?
«Gli piaceva rimorchiare con la macchina decappottabile. Certe volte tornava dalle sue escursioni tutto stracciato, sporco e graffiato. La sua morte? Comunque sia andata, è stato il clima di fascismo che c´è in questo Paese. Endemico, ineliminabile. Non è Mussolini che ha inventato il fascismo, ma gli italiani che hanno inventato Mussolini».
PAOLO POLI COVER
Che Paese è questo che non riesce a superare i propri limiti?
«Viviamo dei nostri rancori. Siamo fatti così. E poi non c´è stata la Rivoluzione francese. Non c´è un punto vero da cui siamo partiti. La nostra storia è stare sempre in mezzo a qualcosa. Pronti a trasformarci in qualcos´altro. Avevamo l´abate Parini, che pigliava sì le difese della cameriera, ma poi sognava di trombarsi la padrona. E il conte Alfieri? Gli tirano i sassi alla carrozza e lui scrive Il Misogallo, contro la Rivoluzione francese. Questo è il massimo che abbiamo espresso: un po´ di letteratura, melodramma e tanta canzonetta».
Le canzonette fanno parte del suo teatro.
«Sono la salvezza di questo Paese e poi ci ricordano di quando eravamo giovani. Nessuno canta più le arie difficili, ma tutti conoscono "Mamma"».
Adora il doppio senso?
«Recentemente un signore alla fine dello spettacolo mi ha gridato: "Canti Viva la biga, viva la biga". E io: "Ai romani piaceva la biga/ Più romantica della lettiga/ Fu Poppea capricciosa sovrana/ ad avere la voglia balzana/ che sopra la biga voleva un magnifico auriga"».
ANNA MARIA ORTESE
Cosa le piace del pubblico che viene ai suoi spettacoli?
«L´intesa, a volte anche maliziosa, che si stabilisce e che termina in un applauso. Ricordo che a Taranto davanti a una platea di marinai cantavo "Ciribiribin che bel nasin, che bel bocchin" e a quel punto roteavo la lingua. Veniva giù il teatro dagli applausi e dalle risate».
Lei canta in falsetto?
«Sono troppo vecchio per il falsetto. Lo usavo quando cantavo in chiesa».
E le capita di entrare ancora in una chiesa?
«Adoro il barocco».
Un esteta. Ma il suo rapporto con Dio?
«Buonissimo, ho fatto tante comunioni e ho sempre digerito. Sono come quei Papi che non credevano in nulla, però hanno affrescato bene. Hanno rubato, venduto le indulgenze, ma la Cupola è lì!».
FRANCA VALERI
Com'è la sua vita fuori dal teatro?
«Ora sono vecchio e poco mi resta».
Non mi pare che le corrisponda.
«Il tempo si restringe e le forze calano».
Rimpiange qualcosa della sua giovinezza?
«Allora si perdeva tempo a rimorchiare. Io, poi, ero bello. Vestito tutto di azzurro con i capelli ossigenati, sembravo un inglesino. Seduto sulla scalinata di Piazza di Spagna ricordo che rimorchiai un tranviere. Aveva i peli che gli uscivano dai polsini della camicia. Per la mia gioia facevamo dei viaggetti in tram ai Castelli Romani. Com´ero elegante».
Nessuno indossa il frac come lei.
«Per forza sono nato miserevole, ma ho l´eleganza degli aristocratici».
MARLON BRANDO
Si chiama sprezzatura.
«Solo il borghese è succube del suo vestito. Ma ormai invecchio, non ci faccio più caso».
Cosa la preoccupa della vecchiaia?
«Nulla. Mi piace sentire i doloretti e il corpo che lentamente va. Pensi alla noia di essere Faust o Dorian Gray. Trovo insulsa la difesa a oltranza dei propri corpi e patetico questo attaccamento alle chiappe delle escort. Si chiamano così ora?».
Se ne fa un gran parlare. Lei che impressione ne ha ricavato?
«Raglio d´asino non giunge in cielo. Cosa vuole? Ci trastulliamo con la cronaca perché è più difficile capire la storia che ha un disegno mentale degli avvenimenti. Lo zio violenta la nipote, il piccino sopprime il coetaneo, il figlio ammazza la mamma. La gente vive di queste piccole e inquietanti morbosità».

lunedì 21 marzo 2011

il mito degli androgini

Questi uomini erano molto compatti a vedersi, e il dorso e i fianchi formavano un insieme molto arrotondato. Avevano quattro mani, quattro gambe, due volti su un collo perfettamente rotondo, ai due lati dell’unica testa. Avevano quattro orecchie, due organi per la generazione, e il resto come potete immaginare. Si muovevano camminando in posizione eretta, come noi, nel senso che volevano.

E quando si mettevano a correre, facevano un po’ come gli acrobati che gettano in aria le gambe e fan le capriole: avendo otto arti su cui far leva, avanzavano rapidamente facendo la ruota. La ragione per cui c’erano tre generi è questa, che il maschio aveva la sua origine dal Sole, la femmina dalla Terra e il genere che aveva i caratteri d’entrambi dalla Luna, visto che la Luna ha i caratteri sia del Sole che della Terra.

La loro forma e il loro modo di muoversi era circolare, proprio perché somigliavano ai loro genitori. Per questo finivano con l’essere terribilmente forti e vigorosi e il loro orgoglio era immenso. Così attaccarono gli dèi e quel che narra Omero di Efialte e di Oto, riguarda gli uomini di quei tempi: tentarono di dar la scalata al cielo, per combattere gli dèi.

Allora Zeus e gli altri dèi si domandarono quale partito prendere. Erano infatti in grave imbarazzo: non potevano certo ucciderli tutti e distruggerne la specie con i fulmini come avevano fatto con i Giganti, perché questo avrebbe significato perdere completamente gli onori e le offerte che venivano loro dagli uomini; ma neppure potevano tollerare oltre la loro arroganza. Dopo aver laboriosamente riflettuto, Zeus ebbe un’idea. "lo credo - disse - che abbiamo un mezzo per far sì che la specie umana sopravviva e allo stesso tempo che rinunci alla propria arroganza: dobbiamo renderli più deboli. Adesso - disse - io taglierò ciascuno di essi in due, così ciascuna delle due parti sarà più debole. Ne avremo anche un altro vantaggio, che il loro numero sarà più grande. Essi si muoveranno dritti su due gambe, ma se si mostreranno ancora arroganti e non vorranno stare tranquilli, ebbene io li taglierò ancora in due, in modo che andranno su una gamba sola, come nel gioco degli otri."

Detto questo, si mise a tagliare gli uomini in due, come si tagliano le sorbe per conservarle, o come si taglia un uovo con un filo. Quando ne aveva tagliato uno, chiedeva ad Apollo di voltargli il viso e la metà del collo dalla parte del taglio, in modo che gli uomini, avendo sempre sotto gli occhi la ferita che avevano dovuto subire, fossero più tranquilli, e gli chiedeva anche di guarire il resto. Apollo voltava allora il viso e, raccogliendo d’ogni parte la pelle verso quello che oggi chiamiamo ventre, come si fa con i cordoni delle borse, faceva un nodo al centro del ventre non lasciando che un’apertura - quella che adesso chiamiamo ombelico.

Quanto alle pieghe che si formavano, il dio modellava con esattezza il petto con uno strumento simile a quello che usano i sellai per spianare le grinze del cuoio. Lasciava però qualche piega, soprattutto nella regione del ventre e dell’ombelico, come ricordo della punizione subìta. Quando dunque gli uomini primitivi furono così tagliati in due, ciascuna delle due parti desiderava ricongiungersi all’altra.

Si abbracciavano, si stringevano l’un l’altra, desiderando null’altro che di formare un solo essere. E così morivano di fame e d’inazione, perché ciascuna parte non voleva far nulla senza l’altra. E quando una delle due metà moriva, e l’altra sopravviveva, quest’ultima ne cercava un’altra e le si stringeva addosso - sia che incontrasse l’altra metà di genere femminile, cioè quella che noi oggi chiamiamo una donna, sia che ne incontrasse una di genere maschile. E così la specie si stava estinguendo.

Ma Zeus, mosso da pietà, ricorse a un nuovo espediente. Spostò sul davanti gli organi della generazione. Fino ad allora infatti gli uomini li avevano sulla parte esterna, e generavano e si riproducevano non unendosi tra loro, ma con la terra, come le cicale. Zeus trasportò dunque questi organi nel posto in cui noi li vediamo, sul davanti, e fece in modo che gli uomini potessero generare accoppiandosi tra loro, l’uomo con la donna.

Il suo scopo era il seguente: nel formare la coppia, se un uomo avesse incontrato una donna, essi avrebbero avuto un bambino e la specie si sarebbe così riprodotta; ma se un maschio avesse incontrato un maschio, essi avrebbero raggiunto presto la sazietà nel loro rapporto, si sarebbero calmati e sarebbero tornati alle loro occupazioni, provvedendo così ai bisogni della loro esistenza. E così evidentemente sin da quei tempi lontani in noi uomini è innato il desiderio d’amore gli uni per gli altri, per riformare l’unità della nostra antica natura, facendo di due esseri uno solo: così potrà guarire la natura dell’uomo. Dunque ciascuno di noi è una frazione dell’essere umano completo originario.

Per ciascuna persona ne esiste dunque un’altra che le è complementare, perché quell’unico essere è stato tagliato in due, come le sogliole. E’ per questo che ciascuno è alla ricerca continua della sua parte complementare. Stando così le cose, tutti quei maschi che derivano da quel composto dei sessi che abbiamo chiamato ermafrodito si innamorano delle donne, e tra loro ci sono la maggior parte degl adulteri; nello stesso modo, le donne che si innamorano dei maschi e le adultere provengono da questa specie; ma le donne che derivano dall’essere completo di sesso femminile, ebbene queste non si interessano affatto dei maschi: la loro inclinazione le porta piuttosto verso le altre donne ed è da questa specie che derivano le lesbiche.

I maschi, infine, che provengono da un uomo di sesso soltanto maschile cercano i maschi. Sin da giovani, poiché sono una frazione del maschio primitivo, si innamorano degli uomini e prendono piacere a stare con loro, tra le loro braccia. Si tratta dei migliori tra i bambini e i ragazzi, perché per natura sono più virili. Alcuni dicono, certo, che sono degli spudorati, ma è falso. Non si tratta infatti per niente di mancanza di pudore: no, è i loro ardore, la loro virilità, il loro valore che li spinge a cercare i loro simili.

Ed eccone una prova: una volta cresciuti, i ragazzi di questo tipo sono i soli a mostrarsi veri uomini e a occuparsi di politica. Da adulti, amano i ragazzi: il matrimonio e la paternità non li interessano affatto - è la loro natura; solo che le consuetudini li costringono a sposarsi ma, quanto a loro, sarebbero bel lieti di passare la loro vita fianco a fianco, da celibi. In una parola, l’uomo cosiffatto desidera ragazzi e li ama teneramente, perché è attratto sempre dalla specie di cui è parte. Queste persone - ma lo stesso, per la verità, possiamo dire di chiunque - quando incontrano l’altra metà di se stesse da cui sono state separate, allora sono prese da una straodinaria emozione, colpite dal sentimento di amicizia che provano, dall’affinità con l’altra persona, se ne innamoranc e non sanno più vivere senza di lei - per così dire - nemmeno un istante. E queste persone che passano la loro vita gli uni accanto agli altri non saprebbero nemmeno dirti cosa s’aspettano l’uno dall’altro.

Non è possibile pensare che si tratti solo delle gioie dell’amore: non possiamo immaginare che l’attrazione sessuale sia la sola ragione della loro felicità e la sola forza che li spinge a vivere fianco a fianco. C’è qualcos’altro: evidentemente la loro anima cerca nell’altro qualcosa che non sa esprimere, ma che intuisce con immediatezza.

Se, mentre sono insieme, Efesto si presentasse davanti a loro con i suoi strumenti di lavoro e chiedesse: "Che cosa volete l’uno dalI’altro?", e se, vedendoli in imbarazzo, domandasse ancora: "Il vostro desiderio non è forse di essere una sola persona, tanto quanto è possibile, in modo da non essere costretti a separarvi né di giorno né di notte? Se questo è il vostro desiderio, io posso ben unirvi e fondervi in un solo essere, in modo che da due non siate che uno solo e viviate entrambi come una persona sola. Anche dopo la vostra morte, laggiù nell’Ade, voi non sarete più due, ma uno, e la morte sarà comune. Ecco: è questo che desiderate? è questo che può rendervi felici?" A queste parole nessuno di loro - noi lo sappiamo - dirà di no e nessuno mostrerà di volere qualcos’altro.

Ciascuno pensa semplicemente che il dio ha espresso ciò che da lungo tempo senza dubbio desiderava: riunirsi e fondersi con l’altra anima. Non più due, ma un’anima sola

giovedì 17 marzo 2011

Dicono che il Giappone sia nato da una spada. Dicono che gli antichi dei hanno immerso una lama di corallo nell'oceano e che, al momento di estrarla, quattro gocce perfette siano cadute in mare e che quelle gocce siano diventate le isole del Giappone. Io dico che il Giappone è stato creato da una manciata di uomini, guerrieri disposti a dare la vita per quella che sembrò ormai una parola dimenticata: onore.






martedì 15 marzo 2011

in quali mani siamo

"La Gelmini esclude i bambini disabili dalle finali nazionali dei Giochi della Gioventù che si terranno domenica prossima a Nove (Vicenza)"
Al peggio non c'è mai fine.
Ci vorrebbe una rivoluzione.